Quando decisi di scrivere il mio primo libro, “Il cercatore d’ombre”, avevo due obbiettivi: presentare il messaggio finale, quello attinente al processo della “reintegrazione cosmica”, e cercare di far comprendere – a larghe linee - i presupposti intellettuali che stavano “a valle” di quelle affermazioni, cioè i principi della dottrina spiritualista codificata da Allan Kardec.
Trovai il modo di fare le due cose “romanzando” il mio rapporto con Rogerio Almeida – medium, contattista e principale articolatore del gruppo Atlan – inventando incontri fittizi che, prendendo spunto dalla realtà che io stavo vivendo in quei momenti, si fossero inseriti interagendo con l’attualità per rendere più “comprensibili” i concetti esposti.
Ho così creato tre “momenti”, uno sulle pendici del vulcano a Stromboli, un altro tra le montagne andine, a cammino di Macchu Picchu, e un ultimo a Natal. E’ una storia che comincia nell’Italia del 1978, prosegue in Perù due anni dopo, terminando in Brasile con un ultimo dialogo nel 2000.
Pur modificando in parte la struttura originaria del testo del libro, credo di poter riproporre lo stesso schema, come se questa nostra lunga intervista facesse parte – cosa che è vera, in realtà – di una storia ancor più lunga, in cui tutti noi siamo stati invitati a “scrivere”.
CONVERSAZIONI CON ROGERIO ALMEIDA
Stromboli
Il crepuscolo si stava già trasformando in notte quando finalmente arrivai a poche centinaia di metri dalla bocca del vulcano, la mia meta.
Le rocce nere di lava rendevano tutto quel paesaggio spettrale, di un buio così pesto che il cielo della notte sembrava blu al confronto.
Anche i capperi, unico tipo di vegetazione presente sulle coste, erano diventati rari fino a scomparire, e ora rimanevano solo le stelle, e le pietre della montagna.
Quando finalmente raggiunsi una pietra abbastanza piatta che mi sarebbe servita a sedermi o a sdraiarmi per la notte, con mia grande sorpresa intravidi, di schiena, la sagoma di un uomo e, raggomitolato ai suoi piedi, un’altra che sembrava di un cane.
Decisi così di avvicinarmi con cautela, facendo appositamente del rumore per provocare alcun movimento e rendermi così conto del tipo di cane, e soprattutto del tipo di uomo che mi stavo preparando ad incontrare.
Era un giovane della mia età, capelli lunghi e un viso bonario, con un bastardino bianco e nero che mi venne incontro scodinzolando e facendomi festa come se fosse un amico di lunga data.
«Ciao» dissi «vedo che non sono l’unico ad aver avuto l’idea di passare la notte qua sul vulcano. Io sono Roberto» e tesi la mano verso lo sconosciuto.
«Ed io Rogerio, piacere, e questo» disse indicando il cane «è Sirius, il mio guardiano».
«Come guardiano, guardiano di che?».
«Ma come, non dirmi che non ti sei reso conto che siamo circondati da decine di topi?» disse divertito.
«È vero! Ecco cos’erano tutti quegli strani rumori e ombre guizzanti che ho visto salendo negli ultimi metri. Topi. Ma il tuo cane li tiene a bada?».
«Spero proprio di sì, sennò addio alla mia meditazione».
A quel punto, dopo le prime poche frasi, ero già sicuro almeno di una cosa: quel tizio non era italiano, e così gli chiesi la nazionalità.
«Mai sentita, e dove si trova? vicino a Rio? A Bahia?».
«Né all’una né all’altra, ma è più vicina a Salvador, a 1300 Km circa più a nord, sulla costa».
«E cosa sei venuto a fare qua in Italia, oltre che a meditare sullo Stromboli?» chiesi con un sorriso un po’ sarcastico.
«A incontrare un vecchio amico del passato con cui devo fare delle cose molto importanti».
«Ah!» dissi «qua a Stromboli?».
«Sì» rispose sorridendo «forse su questo stesso vulcano».
Per un attimo rimasi perplesso, poi ritornai nel controllo della mente: “Bah”, mi dissi, “chissà di che sta parlando”.
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