In questi giorni incerti, dove tutto e il contrario di tutto sembrano coesistere senza contraddizione, l’argomento “profezie” diventa sempre più presente.
È proprio l’incertezza, la vanificazione dei capisaldi economico-sociali costruiti nel tempo, il terremoto “morale” che sta cominciando a investire la comunità globale, che in questo modo costituisce il fertile campo delle congetture, del passato e del presente.
Non vorrei tornare, a proposito di questo argomento, su ciò che ho già detto nel post precedente in merito alla “derogabilità/inderogabilità” profetica, ma mi preme, invece, sottolineare di nuovo con alcuni, pochi esempi, la teoria esposta.
Non voglio soffermarmi troppo a lungo sulle visioni delle chiese evangeliche in relazione alla venuta del Cristo (21 maggio 2011), con il conseguente tele-trasporto dei “giusti” (ovviamente quelli che appartengono alla chiesa/setta enunciatrice), e la successiva fine del mondo, o meglio Giudizio Universale dei vivi e dei morti (ottobre 2011). Sono anni, decenni, che ora uno, ora l’altro esponente di fazioni specifiche che si rifanno a questa branca del cristianesimo, se ne escono con annunci “bombastici” di questo genere, finora sempre smentiti dai fatti.
Un po’ più di attenzione la meritano le “previsioni” (intuizioni?) dei “veggenti dei terremoti” italiani e brasiliani che si cimentano in quest’arte, anche perché sovente ci azzeccano.
Ovviamente, trattandosi di grappoli di date vaticinate in ambienti territoriali con alte incidenze di scosse telluriche, qualcuna – prima o poi – la devono pure indovinare. Non fraintendetemi, non sto assolutamente criticando l’alto valore che comunque queste persone mostrano, nel sottoporsi con stoicismo sacrificale alle montagne di critiche che sono sempre cadute loro addosso, ma semplicemente sto analizzando il dato statistico dell’incidenza dei risultati conformi alle previsioni, in relazione a quelli difformi. D’altronde questo è il prezzo che chi s’immette su questa strada deve pagare.
Così, tanto di cappello al signor Jucelino Nobrega da Luz, che scrive lettere ai governi degli Stati interessati dalle future tragedie, le data, le registra e le pubblica sul suo web site, in modo che a posteriori possano essere controllate.
Altrettanto per lo scomparso Bendandi, nel passato vilipeso e oggi riemerso alle memorie giornalistiche (necessitanti di alimentare psicosi foriere di maggiori vendite), anche se la sua previsione sulla distruzione di Roma il prossimo 11 maggio mi sembra – sempre in ordine alle rilevanze statistiche cui accennavo prima – un tantino azzardata. Speriamo abbia torto.
Altro discorso è quello riguardante la data prevista dalle rivelazioni della Madonna di Anguera, il 16 aprile di quest’anno, in cui un cataclisma ancora peggiore di quello appena successo dovrà riaffacciarsi davanti al già provato popolo giapponese, probabilmente annichilendolo.
Non volendo mettere in discussione le parole dello spirito che con quel nome s’è, ormai da anni, presentato, mantengo qualche riserva sull’idoneità dell’unico ricevente di questi messaggi, che proprio per essere l’unico è anche purtroppo passibile di aver mal inteso o mal interpretato, senza contraddittorio, il tono delle comunicazioni ricevute.
Nessun dubbio, al contrario, ho sulla profezia del vescovo irlandese Malachia (1094/1148 d.C.). La sua lista con i centododici Papi che segnerebbero l’inizio e la fine del potere cattolico romano (e che è per analogie abbastanza facilmente identificabile con i personaggi che hanno occupato, nel corso della storia, il trono di piazza San Pietro ), oltre ad essere documentata e verificabile, mi viene da anni proposta, negli incessanti scambi con il mondo spirituale che ci compenetra, come una delle poche fonti attendibili che abbiamo per misurare il corso degli eventi anteriori al momento della Reintegrazione cosmica che, si voglia o non si voglia, si capisca o non si capisca, detterà un nuovo modo di vivere le esperienze individuali e collettive che chiamiamo “vita”.
È chiaro che anch’io posso, totalmente o parzialmente, equivocarmi, e non pretendo con queste mie enunciazioni pormi sopra la massa traballante e incerta che guarda ai fatti del giorno d’oggi con crescente sbalordimento e preoccupazione, ma penso sinceramente che esista una profonda connessione tra i tantissimi contatti medianici avuti negli ultimi anni, e la cronologia “papalina” di Malachia.
In attesa che “il mondo crolli”, però, suggerisco a me stesso, e a ognuno degli altri, di occuparci di migliorare la nostra capacità di essere consapevoli di noi stessi e del processo che stiamo vivendo, della situazione geo-politico in cui siamo inseriti, e dei profondi aneliti di giustizia e pace che – per fortuna – caratterizzano sempre più la comunità terrestre.
Per il resto, chi vivrà vedrà
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