Il melo malato, infestato da parassiti di ogni tipo, ogni anno produceva sempre meno frutti, e da tempo non si vedevano più i bei pomi d'una volta.
I due fratelli lo sapevano bene, e lo guardavano con gli occhi pieni di lacrime, intristiti dalla visione della decadenza in atto. Uno di loro - il più giovane - proponeva bagni di anticrittogamici, iniezioni di fosfati, potature radicali, nella speranza di poter rivedere la rigogliosa fioritura di un tempo... ma l'altro fratello - il più anziano, il più esperto - sapeva che sarebbero stati solo inutili palliativi, che non avrebbero permesso alla pianta di tornare a fruttificare come nei tempi passati, e insisteva sulla necessità di non occuparsene più, di abbatterlo, o lasciarlo marcire, e piantarne uno nuovo al suo posto.
Sapeva che per lungo tempo, prima delle nuove fioriture, non avrebbe potuto gustare i suoi frutti, ma sapeva anche che - prima o poi, se ben curato - sarebbe rinato rigoglioso e forte, e avrebbe di nuovo allietato le loro tavole. Si mise allora pazientemente all'opera, cominciando a selezionare i nuovi semi, rivangando per l'ennesima volta quella terra vecchia, sfruttata senza soste per anni e anni, ormai quasi improduttiva.
Ma il giovane inesperto - ansioso e irascibile - non ne voleva sapere di ricominciare: troppo lavoro, diceva, e fra un maalox e l'altro - roso dalle vane aspettative - guardava l'albero, intonando incomprensibili canti propiziatori, nella speranza che tutto tornasse come prima, quando era già malato, anche se non si vedevano ancora i sintomi.
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