mercoledì 15 dicembre 2010

Elenchi

Visto che ormai vanno di moda, e li fanno quasi tutti, vorrei anch’io fare il mio… elenco.
L’elenco delle cose che non troveremo quando i nostri corpi moriranno.


Settantasette vergini vogliose che ti aspettano, se siamo candidati a “martiri” dell’Islam.
Angioletti alati che ci svolazzano intorno.
L’inferno.
Il paradiso.
San Pietro che ci attende.
Un buon caffè espresso.
Un letto fra le nuvole.
La pace eterna.
Dio seduto in un trono.
L’inesistenza.
La dimenticanza di ciò che abbiamo fatto durate la nostra esperienza di vita.
Il perdono per i “peccati” commessi.
La pace dei sensi.
Il conto in banca che abbiamo lasciato aperto.
Il vestito bello, quello delle grandi occasioni, che abbiamo tenuto in naftalina per anni nell’armadio.
I gioielli e gli orologi che ci hanno regalato quando “vivi”.
Il sorriso dei nostri padri, consorti, figli, amici.
Le fusa del nostro gatto peloso che accarezziamo tutte le sere.
Lo scodinzolio felice del nostro cagnolino.
Il rumore del traffico.
Le sirene assordanti dei vigili del fuoco.
Berlusconi a capo del governo celeste.
La bolletta della luce.
L’amante.
Il nulla.
Le vaste praterie dei Sioux.
Il Walhalla.
Caronte e il suo piccolo traghetto.
Satana con un forcone in mano.
Le fiamme del fuoco eterno.
L’aria condizionata.
Hamburger e patatine fritte.
Coca cola.
I numeri vincenti della prossima lotteria.
Le rate del mutuo da pagare.
Il Milan.
L’Inter.
Google.
L’invisibilità.
La saggezza.
La santità.
L’incomprensione dei motivi per cui siamo “morti”.
L’incomprensione dei motivi per cui ci sentiamo ancora “vivi”.
La noia.
L’elenco delle cose che troveremo, invece, lo lascio per una prossima volta.





martedì 14 dicembre 2010

V° Convegno Contatti e Medianità : il video dell'intervento.

Reintegrazione Cosmica from nonsoloanima.TV on Vimeo.





Wikileaks. un'analisi differente

L’altro giorno mi sono svegliato sapendo dell’arresto di Julian Assange, il giornalista australiano mentore del sito Wikileaks.
Questo fatto mi induce a prendere una posizione perché si tratta, a mio modesto modo di vedere, di un fatto che avrà comunque una portata “storica”.
Wikileaks, con l’esposizione pubblica dei files riguardanti le conversazioni riservate fra il Dipartimento di Stato nordamericano e le sue ambasciate sparse per il globo, ha innescato una piccola “bomba nucleare” che sta scoppiando a livello coscienziale collettivo, riferente al modo in cui l’umanità si fa trattare dai propri rappresentanti politici.
Quello che sta venendo fuori, attraverso la divulgazione di questi documenti, è l’esemplificazione più chiara della più grave delle dicotomie che vive l’essere pensante oggi, poco preoccupato di esternare con chiarezza e onestà d’intenti ciò che veramente pensa, nell’illusoria percezione della possibilità di mentire sempre e comunque reputi necessario.
Questo tipo di comportamento, a cui ricorriamo spessissimo nelle nostre relazioni sociali  e che ci sembra funzionale e innocuo, reca invece con sé il germe della sfiducia che alimentiamo negli altri, che a livello subconscio riconoscono senza ombre di dubbi le reali intenzioni non espresse dall’interlocutore.
E’ un modo tipico di agire per chi non ha minimamente capito la corrispondenza che deve esistere fra il pensare e l’essere, per poter produrre i risultati reali che veramente si desidera che avvengano.
A poco, finora, sono serviti gli studi della fisica quantistica, che indicano in questo metodo il vero formatore della nostra realtà individuale , e che ci fanno intravedere le possibilità “pratiche”, utilizzando con coerenza questa prassi, di “cambiare il mondo”.
L’esposizione pubblica delle conversazioni private fra alti funzionari di uno Stato – importantissimo nella geo-politica globale – mostra invece che il metodo confusionario che abbiamo di trattare ciò che pensiamo e ciò che facciamo, come fossero due parti separate di una stesso contesto, è stato così interiorizzato, reso così’ banalmente “normale”, che a molti non importa granché di queste rivelazioni del sito australiano, anzi le vedono come una “minaccia allo status quo mondiale”.
Da qui l’arresto del “capo”, nella vana speranza che ciò possa interrompere il flusso delle informazioni veicolate dai media.
Quello di cui pochi si rendono conto, invece, è che tutto ciò fa parte di uno schema “rivoluzionario” che sta portando all’estinzione del sistema economico e politico di cui abbiamo usufruito negli ultimi centocinquant’anni: il capitalismo.
Questo “schema” ha mostrato i primi risultati pratici nell’autunno 2008, quando la gravissima crisi finanziaria, alimentata dall’infausta supervalutazione dei titoli a copertura di prestiti e mutui al mercato consumatore statunitense, ha fatto saltare tutte le coperture che subdolamente  popolo, governo e mercati s’erano dati per continuare a giocare al gioco dell’ “arricchimento facile”, espressione malsana facilmente abbinabile al comportamento malsano che tutto quel settore di società s’era imposto come “trucco” per produrre risultati economici senza sforzo alcuno. 
All’improvviso il capitalismo finanziario si è mostrato nudo: decine di banche sono fallite, i patrimoni delle Nazioni sono stati usati per cercare di tamponare le enormi falle del sistema creditizio americano, per poi scoprire… che tutte le istituzioni finanziarie mondiali avevano ficcato le mani nella torta.
Soldi che servivano a finanziare i debiti pubblici e gli investimenti sono stati dirottati al soccorso degli stessi enti che avevano causato tutto quel dissesto, prosciugando le casse rimpinzate di denari dei contribuenti (noi), che oggi, come premio per quel comportamento stoico, abbiamo avuto come moneta di scambio recessioni e disoccupazioni record.
Tutti i buoni propositi dei governi per gli aiuti da decenni programmati verso i Paesi in ritardo di sviluppo sono sfumati, e lo stesso è accaduto con le proprie, specifiche popolazioni, lasciate sole a gestire una situazione economica che farebbe mettere le mani nei capelli a qualunque manager aziendale di rispetto.
Lo scollamento tra i principali agenti del capitale - i grandi gruppi economici privati – e le  idee che da secoli ci vendono, con noi, era già cominciato.
In questo divario sempre maggiore tra le ansie del popolo e quelle dei gruppi dominanti, i secondi, dopo altri due anni di immense fatiche per farci credere che tutto stesse tornando a posto, ci stavano quasi riuscendo: i redditi familiari erano calati, le spese per i pagamenti dei servizi da loro offerti erano salite, nella società civile nulla di serio era successo che potesse compromettere, comunque, la fiducia alla base del sistema politico che fa da supporto alla strategia economica di quegli stessi gruppi.
Nel bel mezzo di questa  strana “pace” era però scoppiata un’altra bomba, potenzialmente ancora più devastante della prima, perché toccava direttamente la facciata politica dei grandi gruppi dominanti, le istituzioni governative di mezzo mondo e i loro rappresentanti, scoperti a scambiarsi giudizi quanto mai imbarazzanti sulle qualità etiche dell’uno e dell’altro governante con cui trattavano, mostrando quanto poco apprezzamento esista fra di loro (nonostante i sorrisi pubblici, le strette di mano, i protocolli d’intenzione dati in pasto ai media, ad uso delle masse credulone) , quanta poca etica corra sotto gli accordi economici fra Nazioni, quale uso personale venga sempre comunque fatto della res publica da parte di chi, a turno, ci governa.
Stiamo scoprendo, poco a poco, che quelli che ci rappresentano sono peggio di noi, dicono una cosa e ne fanno un’altra, ci prendono per i fondelli, insomma.
Oh, per favore, niente di nuovo, direte.
E’ vero, apparentemente, ma non credo proprio uguale; qualcosa sta cambiando, anche se ancora non si vede.
Tutta l’ansia con cui  governi ( non la gente, badate bene) hanno aspettato il giorno dell’inizio delle rivelazioni di Wikileaks, la veemenza usata per cercare di localizzare e punire il responsabile “editoriale” di questo incredibile “scoop”, denotano una sola cosa: paura.
Di che cosa, è facile immaginarlo.
Nell’immediato, di vedere compromessi i rapporti internazionali a volte faticosamente modellati negli anni, basandosi su posizioni di comodo costruite senza la dovuta, reciproca sincerità d’intenzioni.
A corta e media distanza, invece, di veder crollare il “credito di fiducia” che i vari governi – con i beneplaciti e le “spinte” dei grandi gruppi economici – erano riusciti a conquistarsi con anni di addestramento al “raccontare palle, tanto alla fine chi paga sono sempre gli altri”.
A lunga distanza il discorso può diventare enormemente complicato, potendo sfociare in una crisi d’identità tra i rappresentanti (politici) e i rappresentati (noi), che potrebbe portare, finalmente, all’identificazione dei veri grandi colpevoli di tutta questa storia, che sono sempre gli stessi che erano all’origine dei dissesti finanziari del 2008: i grandi gruppi economici.
Cominceremmo forse a capire, a livello globale, che le politiche nazionali altro non sono che applicazioni della matrice unica che regge il pianeta, quella del potere economico, concentrato in pochi, selezionati gruppi, a discapito di tutti gli altri.
Vedremo che le guerre si inseriscono perfettamente in questa matrice, creando falsi presupposti che permettono l’annichilimento e l’usurpazione di risorse naturali utili al funzionamento stesso di questa grande “macchina per far soldi” che è il capitalismo.
Vedremo che i veri propositi che stanno dietro alle facciate dei meeting internazionali, degli accordi multi-laterali, altro non sono che nuove applicazioni della sempre presente matrice economica.
Chissà, magari un giorno faremo due più due e scopriremo che, comunque, dietro a quasi tutte le grandi ingiustizie a cui quotidianamente assistiamo, ci sono sempre loro, quelle poche decine di famiglie che gestiscono i grandi gruppi trans-nazionali, quelle che comandano la loro matrice, il capitalismo.
Questo è il senso della grande paura che vediamo nelle facce dei nostri governanti, rappresentanti non nostri ma dei gruppi economici che muovono davvero le fila della macchina modellatrice, della matrice in cui tutti noi siamo costretti – e non ci rendiamo minimamente conto – a sostenere con il nostro lavoro, sangue e sudore per i meno fortunati, le aspettative di altri, di cui non conosciamo né la faccia, né i veri propositi.
Forse credono che arrestare Julian Assange possa essere la soluzione per fermare l’emorragia di credibilità che l’esposizione dei documenti riservati del bureau americano sta scatenando in giro per il mondo.
Non si rendono conto, poveretti, che quella che è iniziata è un altro tipo di guerra, senza morti né feriti, originata dallo sviluppo delle comunicazioni, da internet, che si dovrà combattere senza fare morti né prigionieri, ma solamente cercando di riportare l’etica dei rapporti umani – e di conseguenza quella dei rapporti politici ed economici - su binari molto meno sconnessi di quelli di che abbiamo usato fino ad oggi, e soprattutto che ci portino verso un destino chiaro, apprezzabile e condivisibile da tutti.
Arrestare Assange, tappare la bocca a Wikileaks a niente servirà, se non ad alimentare le voci di protesta, sempre più.
E quel giorno, tra quelle voci, ci sarà anche la mia, ve l’assicuro.



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