martedì 22 febbraio 2011

Un treno chiamato Italia


Non mi sono mai piaciute le carote cotte.
È una specie di piccola fobia sorta nella mensa della scuola elementare, dove pranzavo ogni giorno, nei primi anni sessanta.
Ancora oggi questo cibo mi attrae poco, ma è certo che se fosse l’unico disponibile, non farei lo schizzinoso.
Non mi piace quello che vedo succedere in Italia, a livello della gestione politica della cosa pubblica, dove uno schieramento è apparentemente contrapposto a un altro e ambedue sono persi a far di tutto, tranne che a distribuire equamente le risorse del Paese in beneficio degli abitanti.
Da una parte vedo l’arroganza e la prepotenza del potere, che ci tratta da poveri scemi e cerca di farci credere quello che è impossibile, che la logica, il raziocinio, i sensi e l’istinto, che ci contraddistinguono, sbagliano quando sono convinti che sia una banda di corrotti e corruttori – insieme a tanti altri aspiranti – a manovrare la locomotiva sulla quale viaggia il nostro Paese in maniera folle, col pericolo di  deragliare ad ogni istante, saltando tutte le fermate dove c’è gente che aspetta per salirvi sopra, sballottando i passeggeri senza fornire alcun servizio, se non il puro trasporto, a pagamento è chiaro.
Dall’altra vedo l’apatia scelta come metodo per tentare di convincere, con inviti più o meno bonari, il conduttore della locomotiva a rallentare l’andatura in modo di offrire meno sconforto ai passeggeri, e soprattutto di potersi fermare nelle stazioni, dando così l’opportunità a quelli che sono arrivati per ultimi – specialmente giovani – di salire sul treno e partecipare al viaggio.
Esiste poi una terza compagine, formata da quelli che si piazzano, in piccoli gruppi di due o tre, ai bordi dei binari e, quando il treno passa, gridano la loro protesta. Vanamente, non percepiti.
Allo stesso modo delle carote cotte, nessuno di loro mi piace, e sto sviluppando una certa fobia alla loro vista. Ma, purtroppo, siccome è l’unico “cibo” disponibile per alimentare sogni e speranze di un intero popolo, devo comunque farci i conti, e prendere una posizione.
Se potessi dare a tutti questi nostri politici lo stesso destino che davo alle carote della mensa – avvolte in un tovagliolo e gettate sotto il tavolone di legno, il più lontano possibile – mi sentirei forse più soddisfatto. Il “se” riguarda il fatto che, purtroppo, per i politici non vale lo stesso discorso delle carote. Queste erano il “contorno”, ed eliminate rimaneva comunque altro. I nostri rappresentanti, invece, sono sfortunatamente il “piatto unico”, e dietro loro c’è ancora il nulla, o meglio la totale incertezza.
Che fare, allora? Con chi schierarsi, o non schierarsi? Partecipare? Estraniarsi?
Da qualche anno ho scoperto una realtà che non conoscevo, quella delle leggi che governano il mondo subatomico. È stata un’operazione complessa, che ha coinvolto esperienze personali e molta lettura, e che mi ha portato a individuare un immenso campo d’azione là dove pensavo vi fosse il vuoto, il niente. Sono ancora completamente meravigliato di fronte alla visione di questa nuova realtà, anche perché intrinseca a essa vi è una serie d’infinite possibilità d’interazione, che possono comportare ottimi risultati – a tutti i livelli – per la mia persona, dipendendo solamente dal modo in cui utilizzo le capacità che mi sono – ci sono, a tutti indistintamente – proprie come essere umano.
Quando penso che, secondo questo nuovo tipo di visione del mondo reso plausibile dalle certezze quantistiche, il mio pensiero, il mio comportamento può diventare “effettivamente” determinante per la mia propria evoluzione e per quella di tutti gli altri, mi rendo implicitamente conto che questa legge vale sempre, per tutto e per tutti.
Ripenso allora al treno Italia, al folle macchinista che lo dirige, ai controllori del traffico che, invece di togliergli la corrente e obbligarlo a frenare, si limitano a chiedergli di correre meno e di fermarsi, ogni tanto, a raccattare qualcuno di quelli che attendono alle stazioni. Penso ai passeggeri sballottati, metà di loro spaventati dal pericolo di un incidente mentre l’altra metà crede invece di trovarsi al luna park, e incita il macchinista a correre di più, a non fermarsi mai. Guardo quei pochi, sparuti gruppi che appaiono ogni tanto lungo il percorso. Sembra che vogliano dire qualcosa, ma il treno è troppo veloce e non riesco a capire che cosa.
Per un attimo mi vedo sul treno, costretto a un viaggio che non voglio fare, verso una meta cui non voglio arrivare. Mi muovo verso una manopola rossa incastonata sulla parete del vagone. Apro uno sportellino di vetro, l’afferro saldamente e la tiro.
Il treno, con un fischio assordante, rallenta fino a fermarsi. Scendo. Altri scendono. Molti altri. Ci mettiamo a camminare sui binari, davanti alla locomotiva che non può più avanzare. Il macchinista folle vorrebbe passarci sopra, ma è impedito dalle proteste dei passeggeri rimasti sul treno che reclamano, perché non se la sentono di condividere una scelta omicida. I controllori del traffico, ora che finalmente vedono il macchinista folle fermo, mandano subito qualcuno per prenderne il posto, ma il problema è che tutta quella gente continua a camminare davanti al treno, sui binari.
Si arriva così alla necessità di una mediazione, tra quelli sul treno e quelli sui binari.
Il compromesso è raggiunto sulla base di poche, elementari regole: tutti devono viaggiare comodamente seduti, sicuri, i servizi per i passeggeri devono essere ripristinati, il treno deve fermarsi in tutte le stazioni ove ci siano persone in attesa, la meta finale deve essere dichiarata prima della partenza, e non dal macchinista mentre  il treno è in corsa.
I passeggeri sui binari risalgono quindi sui vagoni. Il nuovo macchinista, adesso, è esclusivamente preoccupato dal condurre il treno alla destinazione prefissata, in orario, senza ulteriori intoppi, fornendo il massimo del conforto a chi trasporta. Anche perché, a questo punto, tanti hanno scoperto il trucco della manovella rossa, che stringono con le mani.



1 commento:

  1. esatto andamo avanti esattemente come le nostre FFSS....

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