sabato 2 aprile 2011

Cosmogonia - i primi preparativi per l'arrivo del Maestro

Ya Yevh si assunse l’incombenza di preparare il terreno per l’arrivo del grande sovrano spirituale. 

Quasi tutti gli esseri extraterreni erano stati espulsi al di là delle frontiere energetiche del pianeta, e quelli che rimanevano erano talmente pochi e isolati da non risultare neanche preoccupanti. Un discorso a parte erano però gli Atlanti che, seppur scomparsi come nucleo popolazionale organizzato, erano però ancora coesi come centro di potere, riparati dalle frequenze del mondo astrale, da cui cercavano di condizionare mentalmente tutti quelli che sulla Terra potevano essere raggiunti dalla loro influenza vibratoria.
Esaminando le condizioni generali di popoli e razze che vivevano sul pianeta, il loro grado di conoscenze tecniche e scientifiche, decise quindi che il Medio Oriente era il luogo giusto per l’incarnazione del Maestro. Non che fosse veramente d’accordo con il metodo scelto da Gesù - lui avrebbe preferito che fosse venuto nella Sua veste cosmica, munito di tutti i poteri che disponeva, riuscendo in un solo colpo a fare quello che da tempo lui tentava, ossia cacciare tutti gli invasori extraterrestri e “svegliare” i terracquei per il compimento del loro vero destino – ma non poteva certo imporre anche al Maestro (a Lui proprio no) le sue volontà.

Così, costretto a soccombere di fronte a una volontà maggiore, si accontentò di dirigere i lavori, valutando e scegliendo secondo la sua ottica il posto e il momento giusto. Scelse prima un capostipite, trovandolo in un commerciante sumero della città di Ur, Abramo, e lo convinse ad adottare il monoteismo (dietro promesse di lauti compensi terreni). Lo fece viaggiare fino alle sponde del Meditarreneo, e procreare creando una popolazione nuova – gli ebrei – che avrebbero conteso il territorio ad altri nuclei di origine sumera, assiria, babilonese, egiziana.
Si sarebbe a loro presentato come Yaweh, l’impronunciabile, l’unico Dio, generoso con chi gli avesse ubbidito e terribile contro tutti gli altri, detentore di tutti i poteri, in cielo come in terra. Ottenne – come sempre – quello che voleva, e quattromila anni dopo nasceva, in una giornata di aprile (probabilmente) dell’anno 6 a.c., in Palestina, il piccolo Yoshua, Gesù, figlio di Maria e di Giuseppe, il carpentiere.
Nel frattempo aveva consegnato a uno dei discendenti di Abramo, di nome Mosè, le tavole con le sue leggi e soprattutto la Torah, i primi cinque libri della Bibbia, dove tutto ciò che era stato, che era e che sarebbe diventato era scritto.
Attraverso alcune persone della popolazione locale aveva aperto un canale di comunicazione mentale (medianico), con cui li spronava a riportare fatti e avvenimenti che avrebbero marcato la storia del suo popolo, in seno al quale sarebbe prima o poi apparso il Messia, il grande sovrano celeste che avrebbe riportato Israele ai fasti a suo tempo promessi.
In una sempre maggiore e fervorosa adorazione di Yaweh, si aspettava l’arrivo del Maestro. Quando il momento dell’incarnazione si avvicinò Ya Yevh dovette scegliere i genitori che avrebbero accolto siffatto figlio. Se la scelta di Maria fu relativamente semplice – era un essere speciale, in evoluzione marcata e libero da grandi pesi karmici – non altrettanto poteva dirsi in relazione al suo compagno, Giuseppe, che non presentava un bagaglio genetico atto a contribuire alla grande missione del Maestro.
Si scelse così la strada dell’inseminazione artificiale, e dopo pochi mesi, annunciato dagli “angeli” - gli emissari di Ya Yevh – nacque Gesù.



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