lunedì 12 dicembre 2011

Venti del deserto

Quello che sta accadendo nella fascia settentrionale dell’Africa e del Medio Oriente è qualcosa di poco comprensibile, se lo si osserva al di fuori del contesto politico strategico internazionale. Come mettere insieme, infatti, quello che è successo nella liberale Tunisia, con l’Egitto dei musulmani e dei cristiani copti, la Libia dei beduini, Israele e la Palestina, l’Iran degli sciiti, l’Iraq e la Siria dei sunniti? In questo caleidoscopio di razze e religioni, è meglio procedere con ordine. 

Da tempo ormai il timer della rivolta stava scorrendo, ma la bomba esplose “casualmente” in dicembre, in Tunisia. Un ragazzo, un venditore ambulante dei mercati, si suicidò dandosi fuoco nella piazza pubblica, per una multa ricevuta dagli esattori del municipio in cui viveva.
Un fatto apparentemente senza un valore specifico, oltre il dramma personale dell’ambulante, divenne la miccia che diede inizio alla rivolta popolare, che in poco meno di due mesi, in modo pacifico, detronizzò Ben Ali, il dittatore da ventitré anni al potere. Alcune centinaia di vite furono il prezzo, ma avrebbe potuto andare molto peggio… 


Come un’onda del mare, le proteste dilagarono in Egitto, dove una dittatura militare controllava il paese sin dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Il presidente Hosni Mubarak, dopo trent’anni di potere, tentò di resistere uccidendo il suo stesso popolo, ottenendo in questo modo l’impossibile: unire musulmani e cristiani copti, eterni nemici, in una lotta che si concluse con il suo esilio dorato a Sharm el Sheik, la perla del Mar Rosso, consigliato dalla sua stessa giunta militare, che assunse temporaneamente il potere, fino a prossime elezioni. 


L’onda si trasformò in uno tsunami e arrivò in Libia, dal colonnello Gheddafi. Anch’egli, da quarantadue anni nel totale controllo del popolo e del territorio, rifiutò di ascoltare le proteste della piazza, e decise di soffocarle con le armi. Fece migliaia di vittime, distrusse comunità e centri urbani, stravolse completamente l’economia, ritirò tutta la ricchezza accumulata grazie alla vendita del petrolio alle nazioni occidentali, precipitò, insieme con la sua famiglia e i suoi seguaci, in una spirale di orrori che terminò con la sua stessa morte.

L’onda, nel frattempo, si era espansa nello Yemen, in Arabia Saudita, in Siria, e lì sembrò fermarsi. La dinastia degli Assad, al potere da quarant'anni anni, aveva raggiunto un eccellente risultato: l’etnia sciita-alawita, con solo il 12% della popolazione totale della Siria (composta per il resto di sunniti), aveva stretto un’alleanza di ferro con l’Iran, la Russia e la Cina.
Pur se priva delle materie prime di vitale importanza (leggasi petrolio), la Siria era tuttavia la porta di sicurezza territoriale contro l’asse Israele – Stati uniti, e divenne ben presto la più potente nemica dello stato ebraico, controllando di fatto il vicino Libano e indirettamente la Giordania, oltre alla Striscia di Gaza.
Ad Assad (padre), sostenuto dalla Cina e soprattutto dalla Russia, fu affidata la missione di creare una barriera armata alla propagazione dell’ influenza israeliana nella regione, cosa che tutt'oggi avviene attraverso il controllo degli eserciti rivoluzionari degli Hezbollah del Libano e di Hamas in Palestina. 
Assad figlio, suo successore, portò avanti la stessa politica, rafforzando ulteriormente i legami con gli sciiti iraniani, chiudendo in questo modo Israele da tutti i lati, tranne uno, quello dell’Egitto, partecipe di un progetto di tregua che continua da anni, sin dall’epoca dell’esordio di Mubarak.

E ora l’onda s’è allargata in Egitto, ultimo lato di questo triangolo. I militari avevano garantito al popolo vincitore, dopo la fuga del dittatore, che avrebbero attuato le riforme prima delle promesse elezioni del 28 novembre, ma non mantennero i patti e crearono ancor più confusione. Permisero cioè la riapparizione dei conflitti etnici tra musulmani, la maggioranza del paese, e cristiani copti, che degenerarono in un inizio di guerra civile. Poi misero l’esercito in piazza e ricominciarono a sparare sui dimostranti, nuovamente riuniti nella piazza Tahrir, al Cairo, chiedendo la stessa cosa di un anno prima: libertà e lavoro.
Nel pieno della confusione, uccisero una candidata alla presidenza, per aumentare le proteste e favorire i partiti fondamentalisti islamici, molto interessati (come del resto i militari, che però non potevano confessarlo apertamente) alla rottura della convivenza pacifica con i vicini ebrei.

A questo punto, il quadro è più chiaro. Da un lato Israele è quasi totalmente accerchiato dalle tre potenze musulmane (Iran, Siria, Egitto), senza dimenticare gli altri paesi arabi (Palestina, Iraq, Libano, Giordania, Turchia) che gradirebbero molto ridimensionare il potere politico militare di Israele. Dall’altro, lo stesso Paese, sentendosi sempre più minacciato, tenterà di giustificare un attacco per obbligare i suoi partner politici (USA e Europa) ad appoggiarlo nel conflitto che ridisegnerà lo scacchiere internazionale.
La strategia è già in atto, e una base missilistica iraniana, che sarebbe servita per l’eventuale lancio di testate nucleari, è stata fatta saltare poche settimane fa da un commando del Mossad, il servizio segreto israeliano. Prima, però, avevano invaso con un virus letale tutti i programmi elettronici, tecnici e industriali, che potevano avere a che fare con la costruzione di materiale nucleare, utilizzato dagli ayatollah.

Al centro di tutto ciò c’è solamente una cosa: il petrolio. Il controllo energetico della materia prima e delle rotte commerciali di trasporto, che potrà riconfigurare la mappa dell’importanza e delle influenze dei grandi centri economici del prossimo futuro
E questo è tutto, purtroppo.
Ma se osserviamo questa situazione da un punto di vista differente, quantistico, potremo notare altri dettagli, di notevole importanza.

L’Africa del Nord ha vissuto più di mezzo secolo oppressa dal potere militare. Terra di conquista per francesi, inglesi, italiani e tedeschi, fu abbandonata nelle mani degli eserciti locali per contenere un popolo lacero e bellicoso che aveva bisogno di essere “addormentato” con qualche riforma e una manciata di farina. L’estrema necessità nella quale quasi tutti vivevano facilitò i più temerari, tra i militari, e i più potenti, tra i civili, nel creare questo stato di cose e mantenerlo fino a oggi.
A questo punto fu sufficiente un solo uomo, quel tale “ambulante tunisino”. 
Potrebbe anche sembrare curioso, persino fantasioso, ma poiché viviamo in una matrice quantica, in cui le azioni, e soprattutto i pensieri, influenzano direttamente tutto e tutti, il potente pensiero collettivo di una nazione intera, e in seguito di altre, diede origine a un movimento che si diffuse non solo nel vicino Medio Oriente, ma anche a Roma, Madrid e New York.

Il pensiero si fece più denso e diventò un altro. Non più pane, elezioni e libertà, ma soltanto libertà… dai centri finanziari che determinano la qualità della vita delle persone, dai grandi blocchi economici che manipolano gli ambienti, dai conglomerati dei media che controllano la mente di molta gente.
Quello che sembrava essere un grido di disperazione si sta trasformando in qualcos’altro, a livello sempre più globale, che rivendica umanità, rispetto, tolleranza e solidarietà
In questa lotta, tra i giocatori di Risiko che siedono sulle poltrone dei grandi centri di potere, cercando di risolvere le cose con le armi, e quelli che rappresentano la massa di chi rivendica la libertà con il cuore e il pensiero, usando l’eco visibile di Internet e quella invisibile della rete quantica, chi ha più possibilità di vincere?’

Siamo alle soglie di un fantastica trasformazione cosmica dove valori, prima dimenticati, torneranno con forza totale, per imporsi nella nuova logica umana. Davanti a ciò, non ci rimane che pregare, e sperare …


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