mercoledì 10 novembre 2010

Conversazioni con Rogerio Almeida 3° - Stromboli

Qualche secondo dopo Rogerio, puntuale, continuò : «Osserva questo vulcano in attività. Quando esplode il magma si sparge per tutti i lati, nessuno lo riesce a controllare, distruggendo tutto quello che incontra sul suo cammino. Lo stesso succede con le rivoluzioni, quando sono fatte senza una base di fraternità: quand’anche pretendano di sconfiggere i mostri che sono al potere, non fanno che sostituirli con altri che in fondo in fondo hanno quasi le stesse caratteristiche, e nella loro esplosione tendono a distruggere tutto quello che fa parte del mondo che vogliono cambiare, senza mai riuscire - e tu e i tuoi compagni ancora una volta nelle stesse piazze a gridare e lottare per gli stessi giusti motivi di sempre ne siete un esempio - a costruire un sistema realmente alternativo,
convincente per i più, storicamente duraturo. Un altro tipo di rivoluzione, nel futuro, dovrà sorgere, per contrapporsi a questa che ora con tanto fervore tu difendi. Ed è per questo che Gesù disse “dai a Cesare quel che è di Cesare”, perché sapeva che qualunque “Cesare”, senza possedere una condotta tollerante, sarebbe diventato solamente un dittatore in più, con l’intento di fare una rivoluzione con l’unico fine, attraverso di essa, di controllare il potere temporale».
«Caro Rogerio» dissi «sarai un giovane brasiliano con i capelli lunghi, ma parli esattamente come un vecchio, amico mio».
«Il bagaglio spirituale che si rivela nell’impulso della nostra anima» continuò imperterrito «si palesa in una forma indipendente dall’età del corpo fisico. Questo permette l’espressione dell’anima d’accordo con le tue possibilità. Nel mio caso il corpo fisico, nonostante sia tanto giovane quanto il tuo, non m’impedisce di esprimermi per quello che sento nell’intimo dello spirito».
«Spirito, tu parli di spirito, come i preti e i mistici, ma nessuno mi ha mai fatto capire dov’è, cos’è stò spirito» risposi con un velo d’impazienza.



«Bene, caro amico italiano» e uno strascico non troppo fine d’ironia marcava le ultime parole «così è come la vedo io: la condizione umana presuppone l’esistenza di due nature che si affrontano, una che è quella animale del nostro corpo biologico e l’altra che è la natura spirituale della nostra anima. Osserva il mio cane che si diverte a spaventare i topi: tanto lui quanto i topi hanno questa dualità, ma la loro anima non si è ancora svegliata di fronte alla responsabilità dell’esistenza. Loro non sono responsabili dei loro atti, vivendo quasi esclusivamente d’istinti, ma noi sì, lo siamo, perché quest’agente che ci fa pensare alla vita e percepire la responsabilità del pensare, del parlare e dell’agire, è esattamente la componente spirituale della nostra anima che agisce sopra la psiche biologica della nostra attuale personalità. Il corpo nasce e muore, ma la nostra mente spirituale è eterna, per questo porta sempre con sé il bagaglio spirituale che gli è proprio».
«Quindi l’anima è la coscienza» aggiunsi.
«Non è la coscienza delle inclinazioni e delle tendenze che si esprimono nella condizione animale del corpo biologico» rispose. «Quando questa condizione prevale, normalmente trasformandoci in qualcosa di simile agli stessi animali, la nostra cecità ci spinge a pontificare, per esempio, nel campo della politica, o della religione, o della filosofia, su una serie di questioni che non abbiamo neanche la possibilità di capire nella loro interezza e nel pieno del loro significato. Quando invece prevale la condizione spirituale l’uomo diventa meno animale, meno ostaggio delle situazioni della vita, e di conseguenza più signore del suo proprio destino».
«Quindi secondo te siamo sostanzialmente un branco di animali» affermai ironicamente.
«Esattamente così e, quel che è peggio, assolutamente ignoranti in relazione a quello che veramente siamo».
«Ossia?».
«Cittadini universali che vivono eventualmente sulla Terra» sentenziò.

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